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Ricordando Fratello Arturo Paoli

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Lunedì pomeriggio, mentre in Casa della carità erano in corso gli ultimi preparativi per la serata di Iftar, in cui abbiamo condiviso con i nostri ospiti di religione islamica, e con chi ha voluto aderire all’invito, il pasto serale che durante il Ramadan rompe il digiuno, mi è arrivata la notizia della morte di Arturo Paoli, piccolo fratello della congregazione fondata da Charles de Foucauld. Per chi non ne avesse mai sentito parlare, fratello Arturo è stato sempre dalla parte degli ultimi e degli indifesi, ha scelto di camminare con i poveri “intrecciando – come si legge in un comunicato emesso da Pax Christi – la sua fede cristiana con l’amore del prossimo, la passione sociale, l’azione culturale e un intenso fervore contemplativo”.

Fratello Arturo ha avuto una vita intensissima. E’ stato, e sono certo che continuerà ad essere anche dopo la sua morte, un punto di riferimento e un esempio per quanti credono che la “povertà nel Vangelo è fame e sete di giustizia” e per quanti, laici o religiosi che siano, credono nella necessità di operare contro le disuguaglianze, le discriminazioni, le ingiustizie. Da giovane, Fratello Arturo si era dato da fare per salvare la vita di centinaia di ebrei perseguitati, nascondendoli nei locali del seminario di Lucca e per questo è un Giusto tra le Nazioni. Dopo il noviziato nel deserto del Sahara, come Piccolo Fratello era stato mandato in Sardegna a condividere il duro lavoro e la dura vita dei minatori. In Argentina ha vissuto a fianco dei poveri delle favelas e ha conosciuto il giovane Bergoglio, futuro papa Francesco, ma nel 1974, considerato un pericoloso sovversivo dalla giunta militare e ricercato in tutto il Paese, è stato costretto a fuggire in Venezuela e in Brasile dove ha continuato a lavorare nelle periferie più povere. Tornerà in Italia solo nel 2005, a San Martino in Vignale, sulle colline sopra Lucca, in una casa diocesiana intitolata al beato Charles de Foucauld. La stessa casa dove è deceduto, nella notte tra domenica e lunedì.

Mi ha insegnato molto, Fratello Arturo. La sua spiritualità ha segnato questi anni di profondo cambiamento del rapporto tra Chiesa e mondo, ha segnato la sua capacità di inculturazione che significa “stare con”, “stare per”, la sua capacità di partecipare alle tensioni dei più poveri non escludendo niente: né la loro lingua né la loro cultura, la sua scelta di vicinanza e di condivisione che lo ha portato a vivere con i poveri e come i poveri. È quello che ci sta insegnando papa Francesco quando ci invita a vedere Gesù nei più abbandonati, negli umili, negli abitanti delle periferie del mondo.

Ripensavo a Fratello Arturo, lunedì notte, dopo l’Iftar, la riflessione comune, la preghiera, il silenzio, la fine del digiuno mangiando datteri e bevendo acqua e poi la cena tutti insieme. E’ stato bello, tutte le comunità musulmane della città, fianco a fianco a rappresentanti della comunità ebraica e della comunità buddista, tanti cattolici, tanti cittadini decisi a sottolineare l’urgenza del dialogo, anche interreligioso, di cui si sente un gran bisogno. Fratello Arturo Paoli l’avrebbe chiamato “propedeutica della carità” che è il modo di guardare all’altro senza sospetti, con rispetto e soprattutto con amore.


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